L’Italia inverta la tendenza sui diritti umani

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dal blog di Francesco Martone, portavoce InDifesaDi, su Huffingtonpost
Discontinuità. Questo il mantra che ha accompagnato la discussione sui decreti sicurezza durante le trattative per la creazione di una nuova coalizione di governo e che resta tuttora l’approccio dominante. Voltare pagina, dopo pagine di attacchi, delegittimazione, criminalizzazione di chi fa soccorso in mare e della società civile in generale. Voltare pagina dopo la narrazione tossica che ha imperversato sui media. Non è una novità, e per questo non basta semplicemente voltare pagina, o invocare discontinuità, ma cambiare invece completamente registro. Chi oggi è al governo dovrà operare chiaramente e senza esitazioni nel mettere in pratica ciò che l’Italia si è già impegnata a fare ai più alti livelli internazionali. Parliamo in questo caso della protezione e tutela dei difensori dei diritti umani. Nel corso dell’ultima legislatura la Commissione Esteri della Camera approvò una risoluzione in tal senso che ha poi indirizzato alcune prese di posizione chiare e inedite del nostro Paese. Oggi la protezione dei difensori dei diritti umani è esplicitamente una delle linee di politica estera dei diritti umani del Paese. Non solo, ma nel candidarsi al seggio triennale presso il Consiglio Onu sui Diritti Umani, seggio che l’Italia occupa da quasi un anno ormai, tra gli impegni presi per questo triennio, l’Italia ha messo quello di sostenere i difensori dei diritti umani, l’attività del relatore speciale Onu sui Difensori dei Diritti Umani, e il dialogo con la società civile. Per questo oggi quando si tratta di Ong, di coloro che salvano vite in mare o che praticano la solidarietà a terra, (e per esteso a chi oggi difende i diritti umani, da quelli ambientali, a quelli di genere, a quello alla libertà di informazione) non basta voltare pagina, e cambiare tono. Ci vorrà ben altro per rimettere il Paese in linea con gli impegni internazionali. Giacché quelle realtà sono – a tutti gli effetti – difensori dei diritti umani, e dovrebbero essere riconosciuti come tali, tutelati e protetti per il lavoro che svolgono, non criminalizzati, o multati per reato di solidarietà. Tutto iniziò con la retorica dei taxi del mare, sposata a destra e manca, e con le teorie del magistrato Zuccaro poi confutate dallo stesso dopo mesi e mesi. Troppo tardi, per dipanare quel clima di sospetto e stigmatizzazione che ha poi travolto tutta la società civile italiana. Sospetto alimentato dalla stampa, basti ricordare anche di recente un dossier su un settimanale nazionale che accusava le Ong di collusione con il terrorismo islamico, accuse cui una delle Ong prese di mira, il Cospe, ha risposto per vie legali. O dalle dichiarazioni spregiudicate di leader e ministri di governo. Continuò con l’adozione del codice per le Ong dell’allora Ministro degli Interni Minniti, che contribuì al clima di sospetto. Piuttosto che intervenire per proteggere chi, secondo le Nazioni Unite e la Dichiarazione sui Difensori dei Diritti Umani del 1998 (votata anche dall’Italia), è un difensore dei diritti umani il governo di allora nulla fece per garantire l’operato di quei difensori dei diritti umani, e contrastare gli attacchi e il propagarsi dell’hate speech. Così anche gruppi di estrema destra si sono sentiti legittimati ad agire con intimidazioni e attacchi diretti alle organizzazioni della società civile. Con l’arrivo al Viminale di Matteo Salvini, il clima si è fatto decisamente ancor più tossico e a rischio, con una narrazione e una costante pratica repressiva che ha facilmente attecchito sul retroterra precedente. I due decreti sicurezza vennero accolti con grande preoccupazione da chi a livello internazionale si occupa di difensori dei diritti umani, giacché in linea con la tendenza ormai evidente anche in altri Paesi europei di attaccare i difensori dei diritti umani e restringere lo spazio di agibilità civica per movimenti e associazioni. Alcuni casi fra tutti quelli di Ungheria e Polonia, ma anche Spagna o Francia con le loro leggi “mordaza” o le misure antiterrorismo usate e abusate a seconda del bisogno e della circostanza. Ben tre volte le comunicazioni dei relatori speciali Onu sui decreti sicurezza, e quella sul caso di Carola Rackete, capitano della Sea Watch (ancora senza risposta), si infransero sul muro di gomma della politica di governo. La prima comunicazione centrata sulla chiusura dei porti e sulla criminalizzazione delle Ong ottenne risposte assai parziali e tardive. Le preoccupazioni espresse sulla criminalizzazione dei difensori dei diritti umani dei migranti non furono neanche prese in considerazione. La seconda comunicazione chiedeva il ritiro del decreto Salvini bis e di quello precedente e fu al centro di un piccolo “giallo” diplomatico. Trapelò – con modalità mai acclarate – alla stampa nonostante avesse dovuto essere tenuta confidenziale, occasione presa al balzo dal Ministro degli Interni per un attacco senza precedenti al sistema dei diritti umani dell’Onu, e alla legittimità dei suoi relatori speciali. Un attacco rappresentato a più livelli che ha aperto una grave ferita nelle relazioni tra Italia e sistema Onu sui diritti umani e con il Consiglio Onu sui Diritti Umani del quale il Paese è ora membro per i prossimi due anni. Un attacco alla legittimità delle istituzioni internazionali che ha colpito poi anche il Consiglio d’Europa la cui Commissaria per i Diritti Umani era considerata rea di aver chiesto il rispetto dei diritti umani nel Paese. Voltare pagina allora non basta. Si deve ricostruire un rapporto di fiducia e di credibilità che richiede passi concreti e scelte concrete. Il governo dovrà dare ufficialmente disponibilità a incontrare in missione ufficiale in Italia i relatori Onu sui difensori dei diritti umani e dei diritti dei migranti, per discutere insieme quali soluzioni mettere in atto. Prima fra tutte, recepire le raccomandazioni e i suggerimenti dei relatori speciali sui decreti sicurezza e poi prendere un impegno chiaro per proteggere i difensori dei diritti umani anche nel nostro Paese. Gli strumenti non mancano anzi. L’Italia, in quanto membro Osce (va ricordato che nel corso della presidenza di turno Osce nel 2018 l’Italia aveva ospitato alla Farnesina un importante convengo internazionale sulle buone pratiche per la protezione degli Human Rights Defenders”) è tenuta a rispettare e dare attuazione alle linee guida Osce sui difensori dei diritti umani anche a livello nazionale. Nel corso dell’ultima Revisione Periodica Universale del Consiglio Onu sui Diritti Umani dedicata all’Italia alcuni Paesi membri raccomandarono di dotarsi di leggi e strumenti concreti di protezione dei difensori dei diritti umani e del diritto alla libertà di associazione ed espressione. Raccomandazioni accolte dalla delegazione italiana, ma mai messe in pratica. È giunto il momento di farlo. Nelle prossime settimane il nostro Paese sarà al centro della discussione al Consiglio Onu di Ginevra per la nuova Revisione Periodica Universale, occasione imperdibile per manifestare pubblicamente una netta inversione di tendenza, o meglio l’impegno inequivocabile e concreto di tutelare i difensori dei diritti umani e dei diritti dei migranti non solo all’estero, ma anche a casa propria. Come questo andrà fatto, lo dice anche uno degli impegni presi dal Paese per la sua candidatura al Consiglio Onu per i Diritti Umani, in consultazione con la società civile, e in sostegno al lavoro del relatore speciale Onu. Solo così, piuttosto che semplicemente voltare pagina e dimenticare il passato, sarà possibile – come anche raccomandato da Amnesty International, aprire una nuova stagione di diritti, dei diritti umani nel Paese.