Difendere i diritti umani in Brasile

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Insieme a Messico, Colombia, Filippine, oggi il Brasile è uno dei Paesi al mondo con il più alto numero di omicidi di difensori e difensore dei diritti umani. Nel 2017 solo in Brasile sono stati uccisi oltre 70 difensori e difensore dei diritti umani. Si registra inoltre un aumento della violenza da parte delle forze di sicurezza, contro i difensori dei diritti umani e della terra, e sempre più anche nelle zone urbane e contro attivisti nelle favelas o LGBTQI. Per quanto riguarda l’agibilità democratica e la protezione dei difensori dell’ambiente e dei diritti umani il contesto è drammatico, come testimoniato dall’omicidio di Marielle Franco e del suo autista lo scorso 14 marzo, e da quello avvenuto la stessa settimana di Paulo Sergio Almeida Nascimento, che faceva parte dell’associazione Indigenas e Quilomboas da Amazonia, ucciso a Barcarena, nello Stato di Parà. Tutto questo viene accompagnato da quotidiane campagne di delegittimazione a mezzo stampa, da un aumento della violenza transfobica, e da un clima crescente di criminalizzazione dei movimenti sociali. Al momento è in discussione una proposta per dichiarare lo stesso Movimento Sem Terra (MST) organizzazione terroristica. Gli strumenti a disposizione per far fronte a questa sistematica aggressione ai difensori e difensore dei diritti umani sono drammaticamente inadeguati.  Secondo i rapporti del Brazilian Committee on Human Rights Defenders il piano nazionale per la protezione dei difensori dei diritti umani non è sufficiente a proteggere i difensori a rischio e ad affrontare le cause strutturali dell’aggressione protratta contro i difensori e le difensore con politiche pubbliche adeguate. Non esiste ad esempio una legge sulla protezione dei difensori dei diritti umani in quanto politica di stato, ma solo un decreto presidenziale del 2007 con portata assai limitata, essendo rivolto solo a difensori già a rischio ma non “vulnerabili”. La società civile poi è esclusa dal Consiglio istituito per la supervisione del piano nazionale. Solo 6 stati su 26 hanno programmi di protezione, già deboli per scarsità di fondi. Inoltre sono stati sospesi i finanziamenti per i programmi di relocation di difensori. Inoltre il piano si rivolge solo a casi individuali mentre invece andrebbe ampliata la protezione a gruppi, comitati e organizzazioni. Riteniamo che allo stato attuale sia opportuno per il nostro Paese – di concerto con le altre rappresentanze diplomatiche dell’Unione Europea – sollecitare il governo brasiliano a intraprendere i seguenti passi:
  • Un’indagine indipendente sulle responsabilità e i mandanti dell’omicidio di Marielle Franco e del suo autista;
  • L’adozione di una legge nazionale sui difensori dei diritti umani;
  • L’attuazione immediata del piano nazionale per la protezione dei difensori dei diritti umani;
  • L’aumento dei fondi a disposizione per protezione e “relocation” temporanea dei difensori vulnerabili ed a rischio.
Inoltre crediamo che il nostro Paese possa svolgere un ruolo chiave nel dialogo regionale, ed in sostegno a iniziative latinoamericane per la protezione dei difensori dei diritti umani e dell’ambiente. Le priorità al momento dovrebbero essere:
  1. Il sostegno a meccanismi regionali di protezione ed early warning come quelli lanciati congiuntamente dalla Commissione Interamericana per i Diritti dell’Uomo (CIDH e dal Consiglio ONU sui Diritti Umani (UNHRC)
  2. Per quanto riguarda i difensori dell’ambiente, il sostegno al primo accordo regionale sull’accesso all’informazione, la partecipazione pubblica e l’accesso alla giustizia per le questioni ambientali,  fatto in Costa Rica il 4 marzo di quest’anno e che prevede impegni per la tutela e la protezione dei difensori dell’ambiente.
* Una copia di questa nota, a cura di Francesco Martone (portavoce della rete In Difesa Di) e Martina Borghi (Greenpeace Italia) è stata inviata al Ministero degli Affari Esteri in data 20 aprile 2018, in seguito alla visita in Italia della difensora dei diritti dei popoli indigeni Francinara Baré (coordinatrice COIAB).